In Italia, com’è noto, il volontariato supplisce da sempre alle carenze del sistema di welfare state. Da diversi anni, da quando cioè il “taglio alle spese” ha cominciato a mordere, prima i comuni e recentemente le strutture di assistenza e cura primarie come gli ospedali e i PS hanno cominciato a sentire sulla pelle gli effetti di una politica costante di tagli e riduzioni di risorse.

Che anche gli operatori shiatsu contribuiscano con la loro opera gratuita al benessere di tante persone è l’ennesima dimostrazione della serietà e dell’impegno che tanto la Federazione quanto i singoli profondono nel portare avanti la conoscenza e i benefici dello shiatsu.

Mi domando però se così facendo non si contribuisca a collocare la disciplina in una nicchia secondaria, subordinata rispetto ai trattamenti sanitari convenzionali, accettando di fatto che fare shiatsu sia considerato un “hobby”, e che quindi anche dall’esterno sia percepito come poco essenziale.

Lungi da me criticare i volontari e il loro prezioso contributo, ma non sarebbe più utile cominciare a lottare affinchè lo shiatsu venisse inserito stabilmente nei protocolli multidisciplinari di cura che già esistono, ad esempio nel campo della disabilità psichica, piuttosto che limitarsi a proporre interventi esterni, che nel 99,9% dei casi forniscono ottimi risultati ma che si affidano al “buon cuore” dei dirigenti ASL per una loro implementazione e un inquadramento più stabile nelle strutture pubbliche?